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«Campagna Sabina», ne parliamo con Laura Ciacci |
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Laura Ciacci (foto dal web)
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«Campagna Sabina» e «Le tre porte»: quando l’ambizione di creare sviluppo promuovendo la solidarietà e la convivialità fa impresa |
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di Rosella Vivio
domenica 15 ottobre 2017 - 21:18
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«C'è nei sogni,
specialmente in quelli generosi, una qualità impulsiva e compromettente che
spesso travolge anche coloro che vorrebbero mantenerli confinati nel limbo
innocuo della più inerte fantasia». Il pensiero è di Moravia si adatta a chi ha
dato vita a un’ impresa economico- lavorativo-culturale che ha del temerario,
considerando il luogo (Rieti) e il tempo (crisi, burocrazia da impero prussiano,
credito bancario risicato) in cui è
stata concepita e realizzata. Parlo del “Tre porte”, un luogo situato nella storica e
centrale “Via della Verdura”, dove le eccellenze del territorio fanno mostra di
sé a chi superi le tre soglie d’accesso, turisti o locali che siano. Ho usato
un generico “luogo” perché il “Tre Porte” è molto di più di un negozio,
ristorante, centro commerciale, caffetteria, bar e simili, nati per l’unico
scopo di trarre reddito dall’impresa. A monte del progetto da cui è nata
l’impresa c’è un sogno di Laura Ciacci, fiduciaria della condotta Slow Food di Rieti e di suo marito Edoardo Isnenghi, biologo esperto di genetica
responsabile del presidio di Slow Food della lenticchia di Rascino: dare ai
produttori locali, custodi delle
biodiversità e dell’identità agroalimentare della Sabina, il supporto per continuare ad esistere. Per dirla con una
metafora, l’intento è stato quello di dare una fionda a tanti piccoli Davide
nella sfida contro Golia, ovvero il mercato delle anonime produzioni industriali. In tanti hanno accettato di lasciarsi “travolgere”
e da questo è nata la cooperativa “Campagna Sabina”. Tanti, si spera, si
aggiungeranno nel tempo.Voglio partire da un post di Facebook di
Antonio Sacco, noto conduttore di trasmissioni in emittenti locali, col quale
invitava i giovani ad “essere ambiziosi” e a non accontentarsi di lavori di bassa qualità,
come quello di magazziniere in Amazon. Quanta ambizione è servita, anche ai
meno giovani, per investire tempo, impegno e fatica alla realizzazione di un
progetto che può apparire minimo temerario?Dietro l’ambizione c’è sempre
un progetto di vita, il voler mettere a frutto un patrimonio di conoscenza e di
esperienza. In questo caso c’era il sogno di realizzare qualcosa il cui
beneficio fosse allargato. Occuparsi non solo di se stessi dà grande forza. Credo
che Antonio invitasse i giovani a darsi una prospettiva di vita e di futuro che comprenda anche il destino
della comunità di cui fanno parte. Il mio commento è stato che l’ambizione ha
bisogno di un luogo, e di una comunità, che rendano non velleitari i propositi,
trasformando in fuga o in fallimento l’intraprendenza.Certo. Il mondo adulto, la
politica, gli amministratori dovrebbero avere come impegno primario quello di
creare le condizioni perché l’ambizione e i talenti delle nuove generazioni possano
dare frutti dove si nasce e si vuole vivere. Come è nata l’idea di dar vita alla cooperativa
“Campagna Sabina” e di “Le tre porte”?Come sai noi, Edoardo ed
io, non nasciamo sabini. Veniamo dalla Lombardia e dal bergamasco. Ci siamo
fatti adottare da una terra magnifica dove ci siamo trasferiti nel 2001. Quello
che abbiamo avvertito subito era la domanda che veniva dai produttori del
territorio di iniziative che
sapessero valorizzare il paniere dei prodotti locali. Da questo è nato il
progetto, condiviso con altri amici, di un luogo dove si potessero conoscere,
gustare, apprezzare, le tante, davvero tante e straordinarie, produzioni
locali.Quanto ha inciso in questa scelta la tua
esperienza in WWF nazionale e poi in Slow Food? Per sentire un bisogno serve un
udito sensibilizzato all’ascolto.Ha inciso molto, certo. È di
Slow Food la filosofia di uno sviluppo basato sull’idea che sono le micro-economie delle comunità locali le
uniche in grado di rispettare gli ecosistemi e la salute mentre creano sviluppo
e che solo promuovendo la solidarietà e la convivialità potremo affrontare le
sfide della mondializzazione e aiutare a crescere l’economia. La Sabina ha le
sue potenzialità nel cibo, l’agricoltura, la tradizione, l’artigianato. Per aiutare
questo prezioso patrimonio bisogna dare aiuto al produttore, non più in grado
di contare su famiglie numerose e impossibilitato a seguire tutto il processo
che va dalla produzione alla messa sul mercato. Aiutarlo anche a vedersi
riconosciuto il diritto al giusto compenso.Non sono cose nuove. Ormai da tanto si parla di
economia territoriale fondata sulle tipicità locali. No, la teoria non è nuova.
Di nuovo c’è che noi stiamo cercando finalmente di metterla in pratica.Quali sono esattamente le difficoltà che oggi
incontra un piccolo produttore? Infinite... La difficoltà più grande è farsi
conoscere, promuovere i prodotti, entrare nel mercato. Nel nostro territorio, a
differenza di altri paesi del sud Italia, un produttore può contare spesso solo
sulle sue forze, non avendo a disposizione una famiglia allargata. Forze che
con l’età vanno a indebolirsi. E al di là della visione romantica del ritorno
all’agricoltura, la fatica che c’è dietro è tanta. Per non parlare del carico della
tassazione e della burocrazia. Tanti fattori fanno si che il reddito spesso non riesce
a compensare la fatica e l’impegno spesi. Tanti piccoli produttori si
sentono abbandonati e sono al limite della sussistenza perché il guadagno è al
di sotto dei costi. Il “ non ce la faccio più” diventa una dichiarazione di
sconforto sempre più frequente.Il rischio è che la biodiversità, ricchezza
della Sabina, finisca per morire.Sì. L’unico modo per
evitarlo è rifarsi a esperienze nazionali e internazionali di successo grazie
alla capacità di mettere insieme le energie, di condividere il lavoro, di saper ottimizzare la capacità di
promozione del singolo prodotto e insieme del territorio.C’è un modello a cui vi siete rifatti?Il nostro modello è stato
Eataly, un luogo affascinante, dove
trovare tutti i prodotti. Prodotti raccontati, da conoscere, comprare e gustare
a qualsiasi ora del giorno.Chi deve temervi? Di chi siete concorrenti a
Rieti?Di nessuno. Noi crediamo
che ce ne sia per tutti e che la concorrenza faccia bene a tutti. Più offerta
ha un territorio, più diventa attrattivo. Più una città è piena di vita,
maggiore è la voglia di visitarla. Più attività ci sono nel centro storico, più
si ha piacere di frequentarlo.Avete messo in piedi un’impresa decisamente
ambiziosa, proprio perché vuole incidere su una caratteristica locale che a mio
vedere ha sempre frenato la crescita ed è la diffidenza e l’incapacità a
collaborare. Il non vedere nel successo di una iniziativa di qualcuno un
vantaggio collettivo. Lo scrivo da anni ormai. L’idea che l’unione fa la forza
non appartiene alla nostra cultura alquanto individualista.Lo so, ma bisogna
provarci. Noi ci stiamo provando. Chiediamo solo a chi vuole contribuire al
successo di un modello economico di impresa sociale e di “ benefit corporation”
(aziende no profit che non si limitano al profitto, ma pensano ad allargare i
benefici alla collettività, reinvestendo gli utili sul territorio) di partecipare al sogno di fare di Rieti un
centro di produzione di eccellenza dove si sceglie di vivere. La nostra
cooperativa è inclusiva, aperta a chiunque abbia voglia di dare un contributo
al progetto. Un progetto, ripeto, che ha
a cuore l’intera collettività.Da anni si parla di turismo. Forse avete
trovato il famoso volano per attrarre visitatori.Credo sia l’unico. Con i
produttori della lenticchia di Rascino siamo stati a Roviano, vicino Tivoli.
Dopo aver assaggiato le lenticchie, saputo che erano un prodotto tipico
originario di una piana di pregio ambientale che non conoscevano, abbiamo ricevuto tante domande su dove
pernottare e mangiare per un weekend. E’ così che si fa ricchezza per la
ristorazione, per chi fa ospitalità alberghiera, per i negozianti.Quali difficoltà state incontrando ? Se ne
state incontrandoQuelle di chiunque faccia
impresa. La principale è la burocrazia. Segue il rispetto delle norme, troppe, e l’accesso al credito. La nostra cooperativa è intergenerazionale. Oltre
a giovani ne fanno parte persone over quaranta e sessanta, con esperienze
professionali solide, solide competenze e altrettanto solide reti
interpersonali. Senza queste caratteristiche e senza l’aiuto di conoscenti e
amici non ce l’avremmo fatta. A proposito di giovani, mi capita di sentire
lamentare la difficoltà di trovarne preparati e con la voglia di lavorare sodo.È un problema che ho
sperimentato. Non è colpa dei giovani, ma di una cultura generale, compresa la
scuola, che non li prepara alla transizione dallo studio al lavoro e alla
fatica. Il lavoro da sempre contiene fatica, oltre la soddisfazione di bisogni.
Altro problema serio sono stati i
consulenti. Ai loro errori, vale non solo per noi, si deve spesso l’innalzamento di costi e di tempi. Invece, dobbiamo
riconoscere alle istituzioni. Asl, Comune, Genio Civile un grande impegno e
disponibilità ad aiutarci.
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