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'Don Domenico', vescovo inatteso |
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Monsignor Domenico Pompili
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Una intervista a monsignor Domenico Pompili per conoscere meglio un uomo di Chiesa che di Francesco ricorda l’amabilità e la parresìa |
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di Rosella Vivio
sabato 6 febbraio 2016 - 07:57
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Quando si è
saputo che a sostituire il vescovo Lucarelli sarebbe stato Domenico Pompili,
sottosegretario e portavoce della potente Cei, un misto di sorpresa e di attesa
ha pervaso la comunità reatina. La Diocesi aveva sicuramente necessità di un
rinnovamento, ma che avrebbe avuto simili proporzioni nessuno poteva immaginarlo.
Una volta arrivato, il nuovo vescovo ha aggiunto sorpresa a sorpresa. Le sue
qualità umane e comunicative andavano al
di là di quanto raccontava l’eccellente curriculum. «Don Domenico», come ama
farsi chiamare, era quanto di più vicino ci si potesse aspettare
alla Chiesa di papa Francesco: un misto di amabilità e parresìa, il parlar chiaro. Dopo alcuni mesi dalla consacrazione
episcopale avvenuta nella cattedrale reatina, ho chiesto un incontro a «don
Domenico» per aiutarci a conoscerlo meglio. Ha accettato e con pazienza ha
risposto alle tante domande da me poste, senza sottrarsi a nessuna. Cosa di cui
lo ringrazio. D. Vorrei iniziare subito parlando
dello straordinario entusiasmo con cui il suo arrivo è stato accolto
dall’intera comunità. Lei come se lo spiega?R. Io stesso
sono rimasto sorpreso da tanto calore. Ma non credo che fosse rivolto a
Domenico Pompili in quanto tale, ma alla domanda di cambiamento di una comunità
che vuole guardare avanti. L’attesa ecclesiale si è sposata con quella di un
territorio che chiede rinnovamento. D. Lei è sembrato subito consapevole
dei problemi del territorio dove insiste la sua Diocesi. Dopo alcuni mesi di
conoscenza diretta, quali crede siano le principali difficoltà della nostra
comunità?R. Credo che
ci sia un gran bisogno di partire dai beni
immateriali, come la fiducia, la
coesione, la ripresa d’iniziativa, la riduzione delle conflittualità. Aiutare a
far crescere certi valori è essenziale anche per la crescita dei beni
materiali.D. Si, la qualità del tessuto culturale ed emotivo
del nostro territorio non sempre è improntata alla generosità . Spesso a
prevalere sono la discordia e l’accidia civile accompagnate allo scetticismo
verso chi fa. Questo rende tutto più difficile.R. Purtroppo
un territorio diviso al suo interno e conflittuale s’indebolisce da solo. Ormai
è chiaro che senza coesione è difficile affrontare le difficoltà in un mondo sempre più competitivo. Bisogna
capire che bisogna tirare la corda sempre dalla stessa parte. Proprio l’altra
sera ho incontrato alcuni esponenti del mondo del lavoro in vista del Giubileo
dei lavoratori che si terrà a Rieti il 15 marzo. Tutti sono sembrati convergere
su un punto: per far uscire il territorio dalle difficoltà bisogna
operare insieme per gli stessi obiettivi.D. Certo, il problema è farlo dopo
averlo riconosciuto. A me laica e agnostica, ma, per dirla con Croce,
inevitabilmente cristiana, spesso viene da pensare che ostacolare chi cerca di
fare, sommergendolo di scetticismo e disfattismo, sia un vero e proprio peccato
mortale.R. Certo. Ma
lo scetticismo il disfattismo nascono
spesso dalla volontà di difendere lo status quo. Purché nulla cambi si cerca di
fermare chi prova a fare qualche cosa . A maggior ragione bisogna impegnarsi
per aiutare chi cerca di darsi da fare per cambiare le cose. Particolarmente
vanno aiutati i giovani, più disorientati di noi adulti, ma carichi di energia,
mentale oltre che fisica. Noi adulti possiamo aiutarli con la nostra
esperienza, ma guai a togliere loro la fiducia e la responsabilità di mettersi
in gioco. L’esperienza del meeting del 2
al 4 gennaio scorso, in occasione della visita del Papa, è stato tutto merito
dei giovani. Sono stati bravissimi a progettarlo, a organizzarlo, ad attuarlo.D. Mi consenta una domanda personale:
perché ha scelto di diventare sacerdote?R. È stata
un’idea nata da bambino e maturata nel tempo. Tutto è partito da un parroco che
mi sembrava un papà, pronto ad aiutare tutti. Dopo la maturità la mia curiosità
verso Gesù è aumentata insieme al desiderio di essere utile agli altri. D. Posso chiederle cosa pensa della
pedofilia nella Chiesa Cattolica? Non crede che ci sia una relazione con
l’obbligo al celibato? Vivere in modo così radicalmente innaturale non rischia
di produrre certe derive morali?R. Sul piano
empirico statistico non è dimostrato che ci sia un nesso tra pedofilia e
celibato. Come si sa la gran parte dei fatti delittuosi avvengono all’interno
delle famiglie. Riguardo al celibato la Chiesa continua a ritenerlo una
condizione opportuna, conveniente. La scelta è nata dall’idea che fosse meglio
un sacerdote dedito al prossimo senza vincoli. Non possiamo sapere se ci sarà
un ripensamento in futuro a tal proposito, ma non credo si possa attribuire al
celibato la responsabilità di fatti di cui si macchiano alcuni rappresentanti
della Chiesa. Purtroppo oggi le fragilità affettive sono diffuse. Ad essere in
crisi sono tutte le condizioni in cui si vive. La cosa da condannare è
l’omertà. La Chiesa oggi sceglie di rinunciare a nascondere i casi di
pedofilia, cosa che in passato è stato fatto pensando fosse meglio evitare lo
scandalo. D. Visto che lei ha parlato di
famiglia, può dirmi se è stato al Family Day? E qual è la sua posizione verso le unioni
civili? R. Non sono
stato al Family day che è una iniziativa di laici. Sulla seconda domanda
bisogna fare una premessa: il sesso è un fatto naturale e culturale. Sotto il
profilo culturale, se in passato si è ridotto il sesso a un fatto puramente
biologico, oggi si rischia di vederlo
come un fattore quasi disincarnato, indifferente al genere e alle relazioni
interpersonali che ne scaturiscono. Sono due posizioni estreme. La domanda che
mi faccio è: se i ruoli sono indifferenti al genere, per fortuna nessuno pensa più
che la donna debba essere sottomessa perché inferiore, l’importanza del
genere è indifferente nella relazione?
Possibile che essere maschio o femmina sia un elemento senza valore?D. Sì, capisco il senso di ciò che
dice. Ma la questione è se sia ancora possibile considerare famiglia solo
quella formata da un uomo e una donna e figli procreati. Lo chiedo proprio alla
luce del cambiamento scientifico e culturale avvenuto nel mondo civilizzato e
cristiano. Oggi come si fa a trovare giusto opporsi al ddl Cirinnà?R. Questa è
materia parlamentare. Ripeto, nessuno nega a nessuno di vivere la propria vita
come crede. La questione vera è quella riguardante i bambini. Davvero possono
fare a meno di avere un riferimento plurale? Di un padre e una madre? La Chiesa
pone la domanda soprattutto su questo. Se il Parlamento deciderà che sia
irrilevante per un bambino avere due genitori di sesso diverso la Chiesa lo
accetterà. Se è vero che le leggi contribuiscono ai cambiamenti delle
coscienze, altrettanto vero è che il cristianesimo è capace di restare se
stesso al di là di quello che lo Stato legifera.D. Ma non crede che oggi servirebbe
soprattutto un Human Family Day contro le guerre che causano dolore, esodi di
fuggitivi senza fine e ritorno del rifiuto dell’altro e del razzismo?R. Il Papa,
dalla sua prima apparizione è entrato a mani nude sulla scena del mondo dove
sta avvenendo la terza guerra mondiale a pezzetti. Sono le sue parole. Più di
lui nessuno, soprattutto la politica, sembra preoccuparsi del destino
dell’umanità intera. E’ memorabile la preghiera per la Siria del 2013.
Cristiani e musulmani hanno pregato insieme per la pace.D. Lei è esperto di comunicazione
sociale. A chi non ha partecipato all’incontro con i giornalisti cosa può dire
in sintesi? R. Dire la
verità con misericordia.D .Prima di lasciarla vorrei farle
una domanda: cosa le piace di Rieti? R. Mi fa
sentire a casa mia.
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